Metageografie
testo di Tommaso
Decarli
Tiziano Bellomi Documento n° 220 |
Al
di là di un’osservazione puramente oggettiva e percettiva del
paesaggio e, più in generale, dello spazio, esiste una geografia che
si pone in un territorio “altro”, in cui entrano in gioco
impressioni soggettive, che concorrono in maniera incisiva, seppur
non esclusiva, alla costruzione di un diverso concetto di paesaggio
stesso, che ne modella le forme e ne condiziona l’interpretazione
ultima.
È
il caso delle “metageografie” di Tiziano Bellomi che, come
suggerisce la parola, si pongono in una sfera che va oltre la
geografia “tradizionale”, indagando i campi dell’effimero e del
tempo sospeso. L’artista non si limita a rilevare un semplice dato
fisico, ma, partendo da fredde coordinate geografiche, compie un
sopraluogo, osserva, registra, preleva campioni come farebbe un
qualsiasi uomo di scienze, al fine non di produrre una statistica, ma
una visione paesistica estetizzata. Egli non lavora direttamente con
e sul paesaggio, nel senso che, pur confrontandosi con esso,
intervenendo e modificandolo, è lungi dal voler proporre un brano di
buona “pittura”. Il suo obiettivo è quello di creare una
dimensione spaziale poetica, ricostruendo a posteriori, sulla base
dei dati raccolti, un pezzo di realtà trasfigurata. Il suo è un
procedimento di lavoro che può essere definito, non a torto,
euristico, in quanto si
affida all'intuito e allo stato temporaneo delle circostanze, al fine
di generare nuova conoscenza.
La zolla d’erba, la pietra, l’oggetto trovato, il frammento
prelevato acquisiscono un carattere metafisico, prescindono dalla
loro fisicità, in quanto sottratti dal loro normale contesto e
collocati in uno spazio asettico, fisso, che permette loro di
acquisire una valenza immaginifica; diventano relitti, scarti del
mondo vero che, nell’artificio dell’arte, si arricchiscono di
significati reconditi, misteriosi e surreali.
In
questo senso, il mezzo fotografico non viene impiegato per realizzare
un documento oggettivo. La foto non si limita a riprodurre il vero,
il luogo prefisso per l’azione artistica, essa viene manipolata,
virata, graffiata. Lo scatto può essere contemporaneo o appartenere
ad un passato che non è inteso solo come condizione temporale, ma,
anche, come stato dell’animo, fuga da una contemporaneità
asfissiante, recupero di una manualità, di una pratica atavica che
bisogna, ad ogni costo, salvaguardare e perpetrare.
Le
“registrazioni” di Bellomi si configurano come veri e propri
tentativi di persistenza di memoria, testimonianze che vanno
conservate, tramandate, affinché mai venga a perdersi quel gusto per
la ricerca e per la meraviglia che è proprio dell’arte.
Tiziano Bellomi Documento n°214 |
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