Beatrice
Alegiani nasce a Roma il 28 dicembre del 1972.
Dopo la maturità
scientifica si iscrive alla Facoltà di Architettura presso
l'università di Roma La Sapienza, dove si laurea con lode.
Dal 2005 si
dedica alla pittura studiando con diversi maestri in Italia e
all’estero.
L’attrazione verso la
bambola muove le sue ultime opere, in cui a far da protagonista è un
particolare modello, originario del Giappone, la bambola kokeshi, a
cui l’artista ha dedicato un’intensa produzione, riproponendole
in una moderna declinazione pittorica.
“Kokeshi Dolls”
è il nome della serie di opere ispirata a queste bambole dalla forma
essenziale: una sfera per la testa ed un cilindro per il corpo, che è
privo di arti.
Souvenir per eccellenza,
oggi queste bambole sono diventate pezzi da collezione e sono molto
conosciute anche in occidente.
Beatrice, attratta da
tutto ciò che riguarda la cultura orientale, con la quale ha un
profondo legame sviluppatosi nel corso degli ultimi anni attraverso
studi e viaggi, ne richiama in particolare l’estetica Kawaii,
termine giapponese che allude a tutto ciò che appartiene alla sfera
infantile, che è grazioso, tenero, fanciullesco, ma anche
leggermente malizioso e al tempo stesso estremamente vulnerabile.
L’artista anima le sue Kokeshi Dolls attribuendo loro sembianze di
amici e conoscenti o personaggi degni di ammirazione, come nel caso
di Magritte, che riconosciamo attraverso le sue caratteristiche
peculiari: la bombetta e la pipa.
Attraverso questa pratica
di “personalizzazione”, la bambola si trasforma qui da oggetto
inanimato in contenitore d’identità, strumento per una
differenziazione soggettiva.
Il messaggio custodito in
questi corpi sproporzionati, dove la bellezza è un attributo non
immediato bensì da ricercare, è dunque soprattutto un’identità
da ritrovare.
C’è qui grande
corrispondenza all’attuale dimensione sociale: nella dispersione
operata dai grossi agglomerati urbani, dove tutto può rimanere
piatto e anonimo, è difficile alla fine ritrovarsi, addirittura è
difficile scoprirsi.
Non a caso le bambole
sulla tela sono collocate su sfondi completamente bianchi, andando
così a declamare questa decontestualizzazione, questo senso di
sospensione che evidenzi una ricerca, in cui alla fine, anche nella
ripetizione, quel che conta è trovare la propria voce, affermare le
proprie idee, rischiare di essere se stessi semplicemente.
“Chi sei veramente
oggi?” ma anche e soprattutto: “Cosa fai oggi per renderti
felice?”.
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