martedì 8 settembre 2015

Metageografie . Tiziano Bellomi

Metageografie

testo di Tommaso Decarli

Tiziano Bellomi Documento n° 220



Al di là di un’osservazione puramente oggettiva e percettiva del paesaggio e, più in generale, dello spazio, esiste una geografia che si pone in un territorio “altro”, in cui entrano in gioco impressioni soggettive, che concorrono in maniera incisiva, seppur non esclusiva, alla costruzione di un diverso concetto di paesaggio stesso, che ne modella le forme e ne condiziona l’interpretazione ultima.
È il caso delle “metageografie” di Tiziano Bellomi che, come suggerisce la parola, si pongono in una sfera che va oltre la geografia “tradizionale”, indagando i campi dell’effimero e del tempo sospeso. L’artista non si limita a rilevare un semplice dato fisico, ma, partendo da fredde coordinate geografiche, compie un sopraluogo, osserva, registra, preleva campioni come farebbe un qualsiasi uomo di scienze, al fine non di produrre una statistica, ma una visione paesistica estetizzata. Egli non lavora direttamente con e sul paesaggio, nel senso che, pur confrontandosi con esso, intervenendo e modificandolo, è lungi dal voler proporre un brano di buona “pittura”. Il suo obiettivo è quello di creare una dimensione spaziale poetica, ricostruendo a posteriori, sulla base dei dati raccolti, un pezzo di realtà trasfigurata. Il suo è un procedimento di lavoro che può essere definito, non a torto, euristico, in quanto si affida all'intuito e allo stato temporaneo delle circostanze, al fine di generare nuova conoscenza. La zolla d’erba, la pietra, l’oggetto trovato, il frammento prelevato acquisiscono un carattere metafisico, prescindono dalla loro fisicità, in quanto sottratti dal loro normale contesto e collocati in uno spazio asettico, fisso, che permette loro di acquisire una valenza immaginifica; diventano relitti, scarti del mondo vero che, nell’artificio dell’arte, si arricchiscono di significati reconditi, misteriosi e surreali.
In questo senso, il mezzo fotografico non viene impiegato per realizzare un documento oggettivo. La foto non si limita a riprodurre il vero, il luogo prefisso per l’azione artistica, essa viene manipolata, virata, graffiata. Lo scatto può essere contemporaneo o appartenere ad un passato che non è inteso solo come condizione temporale, ma, anche, come stato dell’animo, fuga da una contemporaneità asfissiante, recupero di una manualità, di una pratica atavica che bisogna, ad ogni costo, salvaguardare e perpetrare.

Le “registrazioni” di Bellomi si configurano come veri e propri tentativi di persistenza di memoria, testimonianze che vanno conservate, tramandate, affinché mai venga a perdersi quel gusto per la ricerca e per la meraviglia che è proprio dell’arte.



Tiziano Bellomi Documento n°214

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