martedì 30 giugno 2015

Beatrice Alegiani

Beatrice Alegiani nasce a Roma il 28 dicembre del 1972.
Dopo la maturità scientifica si iscrive alla Facoltà di Architettura presso l'università di Roma La Sapienza, dove si laurea con lode.
Dal 2005 si dedica alla pittura studiando con diversi maestri in Italia e all’estero.

L’attrazione verso la bambola muove le sue ultime opere, in cui a far da protagonista è un particolare modello, originario del Giappone, la bambola kokeshi, a cui l’artista ha dedicato un’intensa produzione, riproponendole in una moderna declinazione pittorica.
Kokeshi Dolls” è il nome della serie di opere ispirata a queste bambole dalla forma essenziale: una sfera per la testa ed un cilindro per il corpo, che è privo di arti.
Souvenir per eccellenza, oggi queste bambole sono diventate pezzi da collezione e sono molto conosciute anche in occidente.
Beatrice, attratta da tutto ciò che riguarda la cultura orientale, con la quale ha un profondo legame sviluppatosi nel corso degli ultimi anni attraverso studi e viaggi, ne richiama in particolare l’estetica Kawaii, termine giapponese che allude a tutto ciò che appartiene alla sfera infantile, che è grazioso, tenero, fanciullesco, ma anche leggermente malizioso e al tempo stesso estremamente vulnerabile. L’artista anima le sue Kokeshi Dolls attribuendo loro sembianze di amici e conoscenti o personaggi degni di ammirazione, come nel caso di Magritte, che riconosciamo attraverso le sue caratteristiche peculiari: la bombetta e la pipa.
Attraverso questa pratica di “personalizzazione”, la bambola si trasforma qui da oggetto inanimato in contenitore d’identità, strumento per una differenziazione soggettiva.
Il messaggio custodito in questi corpi sproporzionati, dove la bellezza è un attributo non immediato bensì da ricercare, è dunque soprattutto un’identità da ritrovare.
C’è qui grande corrispondenza all’attuale dimensione sociale: nella dispersione operata dai grossi agglomerati urbani, dove tutto può rimanere piatto e anonimo, è difficile alla fine ritrovarsi, addirittura è difficile scoprirsi.
Non a caso le bambole sulla tela sono collocate su sfondi completamente bianchi, andando così a declamare questa decontestualizzazione, questo senso di sospensione che evidenzi una ricerca, in cui alla fine, anche nella ripetizione, quel che conta è trovare la propria voce, affermare le proprie idee, rischiare di essere se stessi semplicemente.
“Chi sei veramente oggi?” ma anche e soprattutto:  “Cosa fai oggi per renderti felice?”.




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